Antonio Pizzuto: the data runner

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December 27, 2024

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“Antonio Pizzuto: the data runner”

di Roberto Paci Dalò

Elenco di indizi.

Esterno notte. Anni cinquanta. Italia. Dalla strada si vede la porta di un affittacamere. Poco traffico, suoni radi.
Interno notte. Una camera ammobiliata. Sul tavolo una macchina da scrivere. Tra i fogli, le matite, il fornelletto, l’inchiostro si intravede un floppy disc costruito 40 anni piu’ tardi.
La stanza e’ una soglia. Una porta verso i mondi della velocita’ dell’informazione e verso uno sguardo altro alla citta’.

Sto attento ai dettagli delle lettere e delle parole. Alle cancellature del linguaggio, alla sparizione delle parole, alle cadute delle lettere.
Guardo alla narrazione alla velocita’ della luce quale e’ quella di Pizzuto. Penso a Palermo come ipertesto infinito e luogo di convivenza di impossibili. La citta’ e’ internet non un banale e chiuso cd-rom. Cosi’ la scrittura della velocita’ sublime di Pizzuto nel flusso della citta’ e nella sua immobilita’, nel suo ruotare su se’ stessa. Palermo come la scrittura di Pizzuto non si ripete mai e quale luogo di conflitto continuo si mostra nel suo doppio volto della stasi e dell’azione. Guardando la citta’ dall’alto di un terrazzo nel primo pomeriggio estivo. Ad occhi socchiusi per individuare indizi nel reticolo delle strade rese tremolanti dalla temperatura.

“Citta’ invisibile come quanto remota, ed invece tutta recente entro inattingibili parchi a giorno mai soggiogandoli inesistente coperto.”

Guardo alla citta’ per addentrarmi nella scrittura. Guardo alla scrittura per viaggiare attraverso la citta’. Una citta’ senza verbi, senza soggetti. E il lettore/spettatore e’ “obbligato” quindi a svolgere un ruolo attivo dovendo compiere le azioni narrate (scritte/sentite/viste) per poterle capire. E all’interno della pagina appare come uno specchio che rimanda l’immagine del volto del lettore stesso.

Penso a un pezzo dove non si racconta, si narra invece. Il raccontare e’ legato a fatterelli, narrare e’ invece occuparsi di faccende (di cose da fare). Il narrare e’ una una condizione dell’azione. Uno spettacolo senza rappresentazione dove la parola e’ uno degli elementi del gioco. Il testo diviene motivo scatenante di una serie di pensieri che procedono analogicamente e digitali, per modo di trattare le informazioni.
Di dati si parla. Informazioni, indizi, allusioni, supposizioni.
E’ poliziesco l’approccio. Una polizia scientifica impegnata nell’elaborazione di strategie percettive e analisi di dati raccolti sul campo. Sul luogo dell’omicidio all’ovvieta’. Un gioco logico di indizi, di dettagli che portano alla non-risoluzione del caso. Una scrittura investigativa dove l’indizio e’ elemento fondante della realta’.

Sette lettere P i z z u t o, Sette lettere P a l e r m o.
Tre vocali, quattro consonanti per entrambi.
Tutto coincide e gli indizi si ricompongono come in un puzzle dove le tessere sono sparse ovunque nella casa.

La costruzione di prototipi e’ interessante e interessante e’ incontrare un autore che del prototipo fa regola. E’ come se Pizzuto avesse presentito l’accellerazione della narrazione e costruito dei veri e propri prototipi della “narrazione della velocita'”. E’ una sperimentazione ardita, ma mai vuota e fine a se’ stessa. E’ una sperimentazione scientifica dove sa bene cosa vuole e realizza modelli (concreti e spesso in miniatura) che esemplificano questo pensiero della rapidita’. E’ vicino alla civilta’ del computer e per questo e’ vicino alla sensibilita’ del pubblico d’oggi. Ha sentito cose che altri hanno dovuto aspettare decenni per scorgere.

non e’ sacrilegio, anzi, comparare i testi di Pizzuto allo spot pubblicitario. Proprio il videoclip senza tempi morti. Quand’e’ che uno spot e’ ben fatto? Quando contiene – nel brevissimo spazio di pochi secondi – un’intera narrazione. E una storia funziona quando togli, non quando aggiungi. La stessa tecnica delle favole piu’ riuscite “… e dopo un anno il cavaliere ritorno’…”. Si’, ma dove e’ stato mai per un anno? E com’e’ che non ne sappiamo niente?

Trovare relazioni tra un autore e il proprio lavoro – apparentemente lontano dal soggetto/oggetto su i cui si parla – e’ un’azione affascinante che ogni volta conduce su sentieri impensati. E’ un gioco di esplorazione. Con Pizzuto, ho il mio personale mancamento percettivo di fronte a un ritmo che non viene mai a mancare. Avverto strutture liquide basate sulla velocita’. E tutto e’ molto piu’ legato alla trance di quanto non appaia a prima vista. Di conseguenza vicino alle mie modalita’ percettive, ai progetti che sto conducendo da diversi anni proprio sulla trance , sulla catarsi, sullo stato alterato della percezione attraverso la costruzione di macchine teatrali, musicali, telematiche.

La punteggiatura e’ totalmente musicale per cui ben volentieri decido di non forzare la scrittura affinche’ il mio lavoro non sia puro gioco – e puro giogo – intellettuale. Un lavoro enigmistico, dove le parole hanno loro densita’, propria concatenazione. Testi come icone, da osservare nella loro cangiantezza. Buchi neri fatti di altissima densita’.

Un’immagine che ho da quando sto lavorando a questo progetto e’ la classica macchina da scrivere con il campanello che segnala la fine della riga. Bella questa cosa del suono che arriva alla fine dello spazio scrivibile. E vedo questo luogo pizzutiano, questa stanzetta tra l’ufficio e la camera d’affitto dove ha passato tanti anni tra viaggi, lavoro, scrittura. Una scrittura della velocita’ ben celata in questo stanzetta anonima. Come una porta che si apre su un mondo della comunicazione.

Manualetto di accesso alla scrittura di Pizzuto: Prendo il testo di per se’ gia’ distillatissimo. Piuccheperfetto. Praticamente inutilizzabile nel suo stato cristallino. Mi calo nella sua trance. Lo ascolto a 10.000 watt di potenza per trasformare sillabe in agglomerati fisici, impatto psicoacustico. Lo penso come macchina subliminale. Creatore di immagine e di citta’.
Puri suoni elettronici relazionati a parole dette senza enfasi alcuna. Parole che cadono sulla citta’ e penetrano nelle case, dalle finestre aperte per scivolare tra i mobili, le suppellettili di queste stanzette ammobiliate.
E il suono, le voci, le parole oscillano e ruotano ‘ofanim’ (‘rotazioni’ in ebraico) dove il suono veleggia in velocita’ attorno al pubblico. Luogo di incontro tra rigore assoluto e variabilita’ totale. Come la vita quotidiana e’. Identita’ celata e fisicita’.

– Roberto Paci Dalo’, luglio 1998

Grazie a Gabriele Frasca