Roberto Paci Dalò: “Ombre e dettagli per raccontare un museo”

Alessandro Mezzena Lona
Arcane Storie
14 Dicembre 2019

Nato come un lavoro su commissione, il libro che Roberto Paci Dalò ha realizzato per il centenario della collezione perugina è diventato, foglio dopo foglio, uno straordinario, liberissimo viaggio tra le sale della Galleria. Dove il disegno si fa incantare dalle storie dipinte da maestri come Piero Della Francesca, Duccio di Buoninsegna, dal Perugino, dal Pinturicchio. Per reinventarle, poi, con parole, testi, piccole e grandi storie che portano di prepotenza fuori dalla tela molti dei suoi segreti. Colti osservando una mano, una colomba, il manto della Madonna, la barba di San Francesco, il taglio degli occhi di qualche figura secondaria, la presenza di animali nel perimetro del racconto dipinto.
Ombre, questo il titolo del libro di Roberto Paci Dalò pubblicato, con straordinaria cura, dalla casa editrice Quodlibet (euro 18) nella collana Promenade, con stampa serigrafica e carta di ottima grammatura, si rivela al primo sguardo un’originalissima, preziosa non-guida alla Galleria Nazionale dell’Umbria. Perché invece di descrivere tutto nei minimi dettagli, invece di sfinire un potenziale visitatore prima ancora che abbia varcato la soglia della prima sala, lo invita a concentrare lo sguardo, a entrare nel mondo creato dai grandi artisti. Lo spinge a scoprire quanto sia possibile creare una sintonia temporale tra un passato lontanissimo e una contemporaneità attenta a quella lezione. Motivata a ricrearla con l’attenzione, la curiosità, la creatività e l’uso di materiali semplici: carta, inchiostro, matite, acquarelli.
In queste Ombre di Roberto Paci Dalò c’è tutto il suo percorso d’artista. Quello che l’ha portato a realizzare opere come “Filmnero”, lavori discografici come “Many many voices”, “Pneuma”, “Japanese Girls in the Harbor”, “1915 The Armenian Files”, pellicole come “Camera obscura”, “Ye Shanghai”, “In darkness let me dwell”. in un continuo dialogo tra ispirazioni colte e un patrimonio di suggestioni popolari.
A Trieste, Roberto Paci Dalò è stato ospite, con il suo libro Ombre, del Piccolo Festival dell’Animazione e di Trieste Contemporanea. Ritornerà l’anno prossimo con un progetto nuovo, di cui parla in quest’intervista.
“Il progetto mi è stato commissionato dalla Galleria nazionale dell’Umbria – spiega Roberto Paci Dalò – nella persona del suo direttore Marco Pierini. Ed è stata una scelta originale. Perché, di solito, per celebrare il centenario di un Museo statale si pensa al classico libro monumentale. Con tanti testi, immagini, interventi di esperti. Invece lui ha detto molto chiaramente: “voglio uno sguardo contemporaneo su una collezione importante, che raccoglie opere tra il 1200 e il 1800”.

L’idea di come impostare Ombre è arrivata subito?
“La fortuna è stata di dialogare, proprio all’inizio, con Guido Guidi, artista e fotografo riconosciuto a livello mondiale, ma anche un amico da quando avevo 19 anni. È stato lui a chiedermi se conoscessi Daniel Arasse, un importante storico dell’arte francese. Sinceramente ho risposto: no. Così, è arrivato il suggerimento di leggere i suoi libri”.

In Italia, le sue opere sono uscite per Einaudi, il Saggiatore…
“Sì, però Arasse è messo al bando dalla lobby degli storici dell’arte. Forse perché ha questa visione delle opere pittoriche lette, interpretate osservando il dettaglio. Poi, mi ha affascinato subito il suo linguaggio, che è una sintesi perfetto tra stile colto e documentato, ma anche capacità fortissima di racconto, di divulgazione”.

Infatti, il suo è un libro di dettagli…
“Per affrontare con strumenti umili una collezione importantissima, dove ci sono opere di Piero della Francesca, Pinturicchio, Duccio, Perugino, Beato Angelico, ci voleva uno sguardo diverso. Perché questi grandissimi artisti non sono solo delle icone, ma fanno parte della storia culturale e visiva di tutti noi. È il nostro Bildungsroman, il nostro romanzo di formazione. Io sono nato a Rimini, poi cresciuto nella zona del Garda. E riconosco nel paesaggio di Piero i colori, la luce di quello che mi stava attorno quando ero bambino. Proprio per questo mi serviva un’immersione emozionale, esperienziale, tra le loro opere. Non volevo fare un’operazione culturale fredda”.

Bastava un taccuino a contenere le emozioni?
“Chris Reynolds, grande fumettista gallese, mi dice di definire Ombre come una graphic novel, perché è cool. Però, a differenze di una storia disegnata, di un film, di un romanzo, che procedono come vogliono, perché possono modificare, smontare, rimontare a piacimento il lavoro fatto, io avevo solo il mio taccuino. Su cui disegnavo e scrivevo questa sorta di storyboard, dalla prima all’ultima pagina, stando dentro la Galleria. In più, ho fatto un sacco di fotografie per individuare i dettagli che mi sarebbero serviti”.

Graphic novel, fumetti: se definiscono così il suo lavoro non lo sente sminuire?
“Assolutamente no. Sono cresciuto con i fumetti, I lavori di Hugo Pratt, Guido Crepax, sono stati così formativi da poterli considerare tra i riferimenti più importanti del mio lavoro. In inglese direi: I’m a natural born comics reader. Questo lavoro di Ombre non lo trovo poi così lontano, che so, dalle avventure di uno dei miei detective preferiti: Alac Sinner, ideato dai grandi Carlos Sampayo e José Muñoz. Non vedo una frattura, né una lontananza, tra opere apparentemente diverse”.

Mai avuto interferenze durante il lavoro?
“Mai. Nemmeno quelle che avrei potuto immaginare, visto che il lavoro mi era stato commissionato da un Museo statale. Quindi approvato dal ministero stesso. Marco Pierini ha visto com’era venuto il mio progetto soltanto alla fine. E mi ha detto che è stata una sorpresa molto piacevole. Altre persone, che lavorano nella Galleria, hanno confessato di avere scoperto, grazie a me, aspetti della collezione mai notati. Trovano ‘Ombre’ perfetto come guida. Perché racconta il patrimonio storico con uno sguardo contemporaneo, che invita a riflettere su straordinarie opere del passato”.

Disegni e parole?
“I testi sono costituiti soprattutto da citazioni di grandi personaggi. C’è naturalmente Daniel Arasse, ma anche il filosofo Giorgio Agamben, il disegnatore e illustratore Saul Steinberg e tanti altri. Nelle tavole, la parte grafica delle parole e quella dei disegni fanno parte dello stesso lavoro. Quindi, Ombre non ha niente di ricreato al computer, di modificato. Del resto, la mia idea è molto precisa”.

Cioè?
“Devo citare ancora Steinberg. Quando dice che, spesso, guardando paerlare certe persone gli sembra di vedere le parole che si materializzano. Che si disegnano. Ecco, per me questa è una lezione importantissima. Perché testo scritto e disegno fanno parte della stessa famiglia”.

Dal suo taccuino sono riemersi personaggi ormai dimenticati?
“È bellissimo studiare, approfondire, quando il progetto che fai te lo richiede. Mentre realizzavo Ombre mi sono confrontato con personaggi di cui sapevo poco. Come San Bernardino, per esempio. Ma ho riscoperto anche che questa Galleria è stata donata dal Comune di Perugia al Regio ministero della Cultura italiana nel 1918. Questo significa che, nell’anno più duro della Grande guerra, qualcuno ha pensato di dedicare tempo e risorse a salvare la collezione e a metterla al sicuro. Con una fantastica operazione di pace”.

Una coabitazione tra Potere locale e centrale?
“La collezione donata allo Stato, ma di cui Perugia ha continuato a gestire la cura, è situata nel Palazzo dei Priori al piano sopra quello dove ci sono gli uffici del sindaco della città. Mettendo in relazione il Museo, la Galleria, con la civitas. Con i cittadini stessi”.

Non le veniva voglia di aggiungere a Ombre un po’ di musica?
“Una tavola è una composizione. Fatta di pieni e di vuoti, di movimenti, esattamente come una partitura musicale. Io sono cresciuto nel mondo del disegno, ma anche della musica. E credo che in ogni mio lavoro le due vie creative procedano parallele. Un museo è uno spazio della topografia. Una mappa che ci porta a orientarci nello spazio e nel tempo. Ed è logico che la mia perlustrazione cartografica della collezione aveva tempi e ritmi musicali. Con un pensiero compositivo preciso”.

Ritornerà a Trieste con un nuovo progetto?
“Ho fatto dei sopralluoghi al Magazzino 26 in Porto Vecchio. C”è una cordata che sta pensando di produrre un mio lavoro all’interno di Esof 2020. Si intitola HA, è dedicato alla filosofa tedesca Hanna Arendt. Vorrei creare un’installazione di suoni e immagini per entrare nel suo mondo attraverso le voci. Quella dell’autrice de La banalità del male, ma anche di altri. Una sorta di foresta acustica. Il progetto e nato nel maggio nel 2018, quando sono stato nominato expert della Commissione Europea nel settore arte, scienza, educazione. Le prime due tappe sono state Sarajevo e Barcellona. La prossima sarà Trieste. Una città che mi interessa molto per tutti i collegamenti che si possono innescare. Viaggiando tra il passato e la contemporaneità”.