Le mie “Ombre” in una graphic novel per riscoprire la grandezza del dettaglio

Gaia Matteini
Corriere Romagna
23 Ottobre 2019

È di pochi giorni fa l’uscita di Ombre (Quodlibet, 2019), ultimo tassello creativo di Roberto Paci Dalò, riminese, classe 1962, compositore, musicista, disegnatore, artista visivo, regista e insegnante di Interactiondesign a Unirsm.

Dalò, quale è stata l’esegesi di questo suo ultimo lavoro, suggestivo collettore di pensieri, arte, storia, bellezza, riflessioni?
«Il progetto è sorto dalla necessità di festeggiare il centenario della Galleria Nazionale dell’Umbria attraverso una pubblicazione diversa da quelle canoniche, che permettesse la presenza di uno sguardo d’artista e utilizzasse il taccuino – cui sono sempre stato legatissimo, al punto da divenire ambassador della Moleskine, azienda famosa universalmente – inteso però non come un processo sorto in accompagnamento al lavoro, bensì come l’essenza stessa dell’opera, in una sona di storyboard, di processo materico realizzato senza al terarel asequenza di ciò che via via andavo a fermare sulle pagine ».

«Questo è un libro di dettagli» e «il buon Dio si annida nei dettaglio» diceva Aby Warburg. Nel libro, realizzato su un taccuino da viaggio come al tempi del Grand tour, è costante il riferimento allo storico dell’arte francese Daniel Arasse e alla sua teoria del dettaglio. Quale è la sua personale concezione del dettagiio e quale ruolo ha nel suo vivere la cultura?
«La nostra esistenza vive di dettagli e distanze brevi, la nostra geografia del quotidiano si misura a passi e facci amo una “vita da paese” anche nelle grandi metropoli, misuriamo il vivere, il tempo, le relazioni, il presente proprio a partire dal dettaglio, che diviene così – anche in campo culturale – un modo per affrontare la complessità ed evocare il “grande”, partendo però dal “piccolo”, solo in apparenza più semplice e meno importante ma in realtà fondamentale e pregno disenso».

I1 titolo, se da un lato contiene il riferimento all’ombra emessa dai corpi e dalle opere, al loro proiettare qualcosa in un altrove altro da sé e appartenente all’animo di chi osserva, dall’altro rimanda all’etimologia connessa all’origine del nome “Umbria”. Quali altre implicazioni sono sottese a questa scelta?
«Mi piaceva l’idea di inserire l’ipatetica costellazione di significati congiunti alla parola “ombra” e giocare sul cortocircuito tra vero e falso, scientifico e fantascientifico, reale e immaginario proprio per sottolineare quanto ogni certezza sia inrealtà opinabile e quanto anche il lavoro dell’artista, anche la fantasia, possano essere molto più concreti di quanto si immagini».

In Ombre sono frequenti I riferimenti al mondo del fumetti (nel suo collegare I cartigli della seconda metà del tredicesimo secolo al baloon fumettistici) e a quello del cinema (la realizzazionedi alcune aureole che riporta al cinema sovietico o la predilezione del pubblico per certi riferimenti splatternella realizzazione di San Piero). Ha ancora senso la dicotomia tra cultura elevata e cultura popolare?

«Credo sia davvero sterile questo tipo di approccio. ll pubblico è in realtà assai più preparato e sofisticato di ciò che si vuoi far intendere. L’importante è non volgarizzare il tema trattato e riflettere in modo consapevole su qualsiasi declinazione che l’espressività umana decide dimettere in scena: il discorso deve essere sempre alto, a prescindere dal campo che si sceglie – che può appartenere o meno alla cultura classica – ed è proprio la possibilità di alzare il livello che garantisce una maggior partecipazione da parte di chi fruisce il prodotto culturale».

Tra le sue pagine ritroviamo improvvise Incursioni personali, quotidiane e autobiografiche, evidenti nel riferimento al «primo whisky della mia vita» ordinato durante il soggiorno perugino, nel ricordo della festa ebraica di Hanukkah festeggiata dopo aver acquistato le candeline da Tiger, o lo schizzo autobiografico mentre disegna seduto sullo «sgabelletto da pescatore molto comodo » trovato da Decathlon. Quale ruolo hanno queste note personali?
«ll mio libro è una sorta di graphic novel che funziona sullo spazio e sul tempo, intenso sia come tempo lungo delle opere e dell’arte, sia come tempo personale funzionale alla reintroduzione della presenza umana, quotidiana e concreta – costituita dalle mie incursioni riflessive, concrete e attuali – nel panorama apparentemente distante della grandezza artistica conservata a Perugia. In questo modo si accorciano le distanze e quelle opere non sono più qualcosa di lontano e scolastico, bensì si riappropriano di quotidianità, semplicità e profonda immediatezza».

Progetti futuri?
«Attualmente sono preso dalle presentazioni del libro e contemporaneamente sto lavorando a Trieste e Venezia, curando al tempo stesso un progetto itinerante partito a Weimar e incentrato su spettacoli e laboratori sulla figura del drammaturgo tedesco Adam Müller».