A proposito di città. Cartografie, memorie, soundscapes
Roberto Paci Dalò
A proposito di città. Cartografie, memorie, soundscapes
Itaca , 2000
Qui di seguito una serie di pensieri e appunti in ordine sparso nel desiderio di ritrovare il filo di un lavoro iniziato – più o meno coscientemente – molti anni fa.
Sono sempre stato molto attirato dall’osservazione e dall’analisi dello spazio urbano e dai suoi data. Questo mi ha permesso di sviluppare un lavoro continuato su più media dedicato proprio alla città e agli spazi di transito, spazi pubblici e loro caratteristiche sonore. Di paesaggio sonoro. Già il nome del mio gruppo è indicativo: Giardini Pensili creato nel 1985. Luogo della natura che solo in un contesto urbano può prendere forma.
Cartografie, topografie, eterotopie e via dicendo tutto questo fa parte profondamente della mia osservazione del territorio reale e immaginario dell’abitare. Abitare nello spazio ma anche nel tempo, nei luoghi geografici e nella memoria del singolo e della collettività.
Lo sviluppo di strategie per l’occupazione di territori della quotidianità in particolare nelle periferie delle città. In progetti come ‘Cospirazioni’ (insieme a Patrizio Esposito) sono impegnato da tempo nella raccolta di voci e sguardi di persone incontrate, visitate nei luoghi – solitamente piccoli centri – in cui abitano. Una collaborazione è nata poi con il gruppo di architetti post-situazionisti Stalker di Roma. Gruppo che, come altri in giro per il mondo, non costruisce case ma inventa luoghi attraverso derive in particolare in zone inesplorate della città.
Ho iniziato a raccogliere soundscapes dai primi anni Ottanta. Un archivio che vede materiali provenienti da luoghi molto vicini e molto lontani allo stesso tempo. Questi materiali sono entrati a far parte di opere musicali, sceniche, installazioni e sono anche diventati la fonte per la creazione di
ritratti acustici di città come Atene, Venezia, Gerusalemme, Napoli, Linz, Berlino, Rimini, Roma, Topolò, Catania, Lisbona, Benevento tra le altre.
Una continua riflessione sul paesaggio sonoro, il soundscapes (in stretta relazione con il lavoro del compositore e ricercatore e compositore canadese Murray Schafer)
L’amicizia con artisti come John Cage (così attento al paesaggio sonoro e alla “casualità” acustica ambientale) ha ulteriormente enfatizzato questa mia continua esplorazione della città invisibile.
Nel 1986 ho creato Partiture Sonore, inconsuete partiture basate su mappe immaginari dove coincidevano la notazione e lo strumento. Queste partiture sono state mostrate la prima volta su invito di Roberto Masotti alla Galleria Decalage di Milano.
Molte delle mie composizioni sono state create in forma di partitura grafica e quasi sempre lavorando su geografie reali e immaginarie. In questo modo ogni brano diventava così un viaggio, una ulteriore esplorazione e ogni composizione una mappa.
Tanti miei spettacoli e progetti portano titoli espliciti quali: Sentieri Segreti, Corrispondenze Naturali, Cave di pietra, La natura ama nascondersi, Il Cartografo e così via.
Nal 1993 ho creato quella che è diventata per me un’opera di riferimento: Napoli una installazione suono e luce multicanale presentata un po’ ovunque a partire dal festival Les Allumées di Nantes in Francia.
Napoli è poi diventato anche un CD pubblicato con L’Alfabeto Urbano e un’opera radiofonica prodotta dalla ORF Kunstradio (la radio nazionale austriaca).
Ecco il testo di presentazione come appare nel CD:
I segreti acustici della città in vari momenti del giorno e della notte. Il paesaggio sonoro viene raccolto e raggiunto per approssimazione. Una deriva nei meandri della memoria della città ed allo stesso tempo un film acustico senza immagini. Passi, voci, grida e invocazioni, suoni di strumenti e di macchine – da lavoro, da divertimento, da trasporto -. Celebrazioni ai piedi del Vesuvio. Stratificazioni di immagini sonore in continuo mutamento. Cambiamenti graduali e progressivi basati su minimi spostamenti vengono attraversati dai lampi di un temporale acustico che rimette continuamente in discussione l’interpretazione dei segnali inviati. Il microfono è adoperato in certi momenti come una lente, ingrandendo particolari, dettagli, suoni quasi impercettibili. Microascolto e macroascolto si confondono mantenendo le proprie specificità. Non fusione ma relazione tra i materiali utilizzati. Il visitatore ha modo di immergersi così nel territorio sonoro di una città nella quale proprio la vita acustica gioca un ruolo determinante. Una immersione nella città attraverso il mistero dell’udito. Non una raffigurazione di Napoli ma la sua perdita porta al desiderato smarrimento.
Presentazioni:
Nantes (F), “Les Allumees”, 1993; Krakov (PL), “Audio Art Festival”, 1993; Berlin (D), Podewil, “Urbane Aborigenale”, 1994; Vienna (A), “Ambienti” Alte Schmiede, 1994; Hall in Tirol (A), Kunsthalle, 1994; Bologna, Link, 1994; Linz (A), Ars Electronica, 1996; Reggio Emilia, Ex-stalloni, “Silenzio”, 1997; Fermignano, “Nuovo Paesaggio Italiano”, 1998; Bregenz (A), “Kunst in der Stadt”, 1998; Cologne (D), Deutzer Brücke, 1999; Napoli Studio Morra, 2000.
Questo invece è il testo scritto da Patrizio Esposito nel 1994.
Napoli è una città con le mani alla gola. Una città livida, cianotica, senza più fiato. Qualcuno anni fa ne parlava come di un paradiso abitato da diavoli, altri come Pierpaolo Pasolini, in un brano tra i più citati, fino all’abuso, ne raccontava come dell’ultima tribù d’Europa. Come di un villaggio fieramente ostile e resistente alle fascinazioni della modernità. Tempi lontani, dimenticati. Quando ad una città viene tolto il respiro, il primo danno riscontrabile è nella memoria. E chi non ha una finestra cui poggiarsi per guardare il passato, non può permettersi neppure un futuro. Vi e’ buio alle spalle, ai fianchi, davanti. Penso che il lavoro di Roberto Paci Dalò su Napoli abbia il senso di uno sguardo sulla memoria perduta, sulla mancanza di orizzonti, sulle vertigini provocate da permanenze e passaggi veloci sul suo mare e sul suo vulcano. E se è vero che ogni ritratto è anche un autoritratto, nella composizione di Roberto, nel suo autoritratto ci riconosciamo in molti. Non sentendoci rappresentati da melodie rassicuranti e dal bel canto che nasconde i rumori, il brusio o il frastuono che salgono dal fondo della città. Penso che Roberto inviti ad una prova: a porre ovatta nelle orecchie, e questo per ascoltare meglio, per accendere orecchie nascoste, non per prendere le distanze dalla città e dal suo dolore. Come chi con un accumulo di immagini negli occhi ha la necessità di chiuderli per vedere finalmente quello che è sottratto allo sguardo. L’installazione acustica di Roberto è nata dall’invito ad un gruppo di artisti napoletani raggruppati intorno alla rivista L’Alfabeto Urbano di partecipare alla IV edizione del festival di Nantes Les Allumees ad ottobre 1993. Ed in seguito abbiamo sentito la necessità con Giardini Pensili di produrrre un compact disc con un libretto che testimoniasse del contributo collettivo. L’Alfabeto Urbano ha 12 anni di vita, o di sopravvivenza se preferite. Una sorta di fantasma, ma con una minuscola ossatura: quanto basta a produrre materiali indipendenti fuori dai circuiti tradizionali e dai finanziamenti istituzionali e poi scomparire fino a risentire la necessità di una riapparizione nella nostra parte di mondo o in un luogo, un angolo più lontano, ma che non consideriamo distante.
Berlino è una costante nel mio lavoro. Questa città, le sue voci, i suoi suoni mi hanno permesso di creare una serie di progetti che si muovono in un territorio della ‘polimedialità’ Dall’opera radiofonica MANY MANY VOICES (1995) basata su interviste a berlinesi non di lingua tedesca, all’opera AURORAS (1994) che vede come protagonista segreta una bambina di nome Aurora Berlin.
Linz è stata la città che mi ha permesso di avviare un lavoro continuato sulla memoria visiva e acustica. Ho lavorato negli archivi dela città analizzando ore e ore di filmati in particolare del periodo dall’Anschluss al primo dopoguerra quando la città – similmente a Berlino – era divisa in zone di controllo. Ma insieme al lavoro negli archivi ho raccolto materiali audio e video in particolare dell’area industriale della VOEST Alpine. Un primo risultato di questa ricerca è stata la realizzazione nel 1997 dell’installazione interattiva suono e video ARCHITETTURA DELLA SEPARAZIONE creata in un grande hangar al porto di Linz. Qui sono stati utilizzati tra interno ed esterno circa 5000 metri quadrati di superficie e tramite sensori sensibili alla luce il pubblico poteva accedere ai materiali raccolti e riconfigurarli a sua discrezione.
La presentazione di
ARCHITETTURA DELLA SEPARAZIONE
Interactive Sound / Video Installation
Theatre Performance Scanning Bacchae
Web Site
Ars Electronica Festival 1997
The Web Site
This web site is part of the project Architettura della separazione. The focal point of the site is the city of Linz itself, which is analyzed in an interplay of acoustic, spatial, historical, geographical, and urban architectural studies.
The grounds of the VOEST-alpine Works have been chosen as the symbolic space in which to conduct this exploration. As a city within a city, as unique exmple of an autonomous conurbation within a place historically defined as “Linz”: the VOEST-Alpine Works constitute an extreme variant.
This site is set as a permanent workshop on the net. It contains a quickly growing large sound and image archive with materials coming from the city. In the Playground Area is possible to play with all those materials both through a navigation on the Danube and also thorugh the observation of a nocturnal sounding sky.
If the Playground Area is meant for free sonic and visual explorations, the Archives Area contains all the materials ordered in lists. This makes possible to download .aiff and .wav sound files which can be used in the way you like.
The site is dynamic. It means that it follows the course of the day and the night. If you connect in the morning, the site will be basically white getting darker and darker going to the the night. Certain things can be seen – and heard – only in specific moments of the day.
This site hosts also the IET Interactive Enviroments Tools page: a long term planned project about extensions in the real world – and vice-versa – of net activities. Everybody are warmly invited to participate in this common work in order to create, and discuss about, advanced interactive systems between worlds. Here you can find some interesting and playful examples of this collective process.
Il mio lavoro dal 1999 al 2001 come curatore di ITACA (il palcoscenico elettronico del Teatro di Roma) mi ha permesso di avviare una ricerca su Roma e i suoi spazi.
La cartografia unisce ed è così che mi sono più volte trovato a lavorare insieme ad altri cartografi. Uno di questi è lo scrittore Predrag Matvejevic’ l’ libro indispensabile per tutti gli esploratori dei luoghi delle vicinanze: Breviario Mediterraneo. Con Matvejevic’ esiste una collaborazione permanente che ha portato alla creazione di una serie di progetti tra i quali Il Cartografo spettacolo di teatro-musica prodotto nel 1999 dal Mittelfest di Cividale del Friuli.
Ecco il testo di presentazione:
CARTOGRAFIE DEL PRESENTE di Roberto Paci Dalò
“Dei cartografi poco si sa, come anche dei viaggiatori. Rappresentano il mare e la terraferma, osservano il mondo da un lato e dall’altro, non è un lavoro qualsiasi. Quelli che vi si dedicano non sono uomini come gli altri.”
– Predrag Matvejevic’
Il teatro – in generale – si pone come punto di incontro tra mondo visto e mondo raffigurato: IL CARTOGRAFO è una riflessione sulla cartografia e sulla rappresentazione del mondo, in cui metodologie, storie e luoghi diversi rivivono attraverso tecnologie digitali.
IL CARTOGRAFO – un cuore pulsante di immagini, suoni e narrazioni raccolti e riproposti nelle lingue originali legate al nord dell’Adriatico; voci di amici e sconosciuti registrate nel corso di viaggi nei territori della costa e dell’interno, compongono una geografia sonora ed umana. Una missione “acustico-visiva” a raccogliere frammenti dal caleodoscopio di lingue e dialetti dei piccoli centri come di città storicamente importanti quali Venezia e Trieste. Una mappa che crea, attraverso queste voci, la foresta acustica che fa da piattaforma allo spettacolo.
Intrecciate a queste voci appare la voce fuori campo di Predrag Matvejevic’ che legge alcuni frammenti dalla sua opera “Mediterraneo”. Un lavoro fortemente enciclopedico, catalogativo che crea un tessuto mitico a partire da frammenti e dettagli, piccole cose della quotidianità come ad esempio i nomi delle cose, degli utensili, degli attrezzi. È in questo spirito che la raccolta di voci è stata fatta.
In scena un tavolo attorno al quale siedono gli interpreti: un’attrice e un violoncellista. Come ad evocare una classica raffigurazione seicentesca ove compaiono tutti gli elementi della professione e del viaggio. Il tavolo funge da appoggio, quadro per proiezioni, tenda-capanna-rifugio e si modifica nel corso dello spettacolo.
L’azione si concentra tutta qui, in questo luogo che evocando mappe è mappa a sua volta. Che guarda e si guarda allo stesso tempo: “Horon horonta” ‘vedendolo nell’atto di vedermi’ (Dioniso).
Il fulcro della tecnologia scenica è affidata alle possibilità digitali che permettono sia di manipolare le immagini video utilizzate in videoproiezione, sia di gestire i suoni e le voci che si muovono incessantemente attorno al pubblico attraverso un sistema di diffusione sonora multicanale controllata – in diretta – via computer.
La musica si muove tra modernità e arcaicità. Voci sole e cori si muovono nello spazio. Il violoncello – dal vivo – gioca con il suono e la prassi esecutiva della viola da gamba. Il suono ? pensato per dare spazio e tempo alla parola elencatrice, alla storia evocata.
L’utilizzo delle tecnologie video gioca con la tecnologia della ‘camera oscura’ seicentesca. Dal diario di un cartografo dell’epoca: “ti porterò in casa notizie piacevoli; non diversamente in una camera buia l’azione del sole attraverso un vetro fa vedere tutto ciò che accade all’esterno (benché rovesciato)”. E ancora: “Ho in casa mia l’altro strumento di Drebbel, che produce meravigliosi effetti di immagini riflesse in una camera buia. Non mi è possibile descriverne la bellezza a parole: ogni pittura è morta in confronto, perchè qui è la vita stessa, o qualcosa di ancora più mobile, se soltanto non mancassero le parole. La figura, il contorno e i movimenti vi si fondono con naturalezza, in un modo assolutamente piacevole”
E così che la camera oscura viene, ne IL CARTOGRAFO, “ricreata” attraverso l’utilizzo delle tecnologie digitali. Un ponte tra il XVII secolo e i nostri giorni. E “Descriptio” è uno dei termini più usati per designare l’attività cartografica: i cartografi e i loro editori erano chiamati infatti “descrittori del mondo”.
Tutto diventa una avventura nel mondo della percezione, dell’infinitamente piccolo e dell’infinitamente grande. Dove l’ottica modifica la visione e l’acustica è anche mobile grazie allo spostamento del suono nello spazio.
Ma il tavolo porta anche un altro oggetto popolarissimo nelle raffigurazioni dell’arte seicentesca: le lettere.
Nella pittura dell’epoca la lettera è sì al centro dell’attenzione, ma noi non ne vediamo il contenuto, né riusciamo a indovinarlo dai gesti dei personaggi. Per quanto il nostro sguardo possa essere attento, il contenuto della lettera rimane inaccessibile, confinato nella privacy dell’autore o del destinatario. Nello spettacolo è proprio lo svelarsi del contenuto di alcune lettere immaginarie che ci porta all’interno “del dipinto”, a visitare – noi divenuti cartografi dello spazio e del tempo – luoghi altrimenti inaccessibili.
Il progetto triennale
Lo spettacolo costituisce una prima sezione di un progetto triennale – viaggi, allestimenti scenici, lavoro su Internet – basati su un percorso dalla Mitteleuropa al Mediterraneo. Una rotta di graduale avvicinamento al Mediterraneo attraverso la vie dell’ambra, della seta, del sale.
All’interno del progetto la metodologia – e l’amicizia – di Predrag Matvejevic’ è permette di stabilire le pratiche del lavoro. Il progetto prevede un’articolata raccolta sul campo di materiali audio e video. La ricerca ? basata su viaggi tra le due coste dell’Adriatico dove si incontrano persone direttamente nei luoghi in cui vivono.
Il progetto intende creare una cornice per la riflessione, contemplazione e interazione sul tema della memoria individuale e collettiva all’interno di una serie di allestimenti che vanno dallo spettacolo teatrale, all’installazione, alla rete Internet.
Si realizza una drammaturgia del viaggio basata anche sull’utilizzo di riferimenti tragici e biografici come tessuto narrativo per collegare i materiali raccolti.
Il viaggio, l’etica dell’ospitalità, l’incontro e la visita, il dono, sono tutti aspetti fondamentali del progetto.
– Roberto Paci Dalò, giugno 1999
Letteratura di riferimento: Predrag Matvejevic’, “Mediteranski Brevijar”, Zagabria 1987
Svetlana Alpers, “The Art of Describing. Dutch Art in the Seventeenth Century”, Chicago 1983
Ruggero Pierantoni, La trottola di Prometeo, Bari 1996