PNEUMA. Giardini Pensili: un paesaggio sonoro

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December 26, 2024

Media: Teatro Comunale di Monfalcone

ENERGIA

ENERGIA

Roberto Paci Dalò

Primavera 1985,
forse aprile. Si vuole realizzare uno spettacolo da farsi a Gerusalemme. Poi si decide di non partire più e di presentare uno spettacolo a Reggio Emilia. Il gruppo, la compagnia, nasce contemporaneamente a Sentieri Segreti. Il primo lavoro. Bisogna decidere il nome della compagnia e fin dall’inizio c’è un’insofferenza pr una definizione strettamente teatrale. Si decide, dopo giorni di conversazioni, per Giardini Pensili. Luogo mitico e domestico allo stesso tempo. A questo nome si arriva passando anche da Orti Botanici il titolo di un’opera di Mario Schifano.

Giardini Pensili
è fin dall’inizio un luogo del pensiero e dell’azione leggera. Sotto questo nome vengono presentati spettacoli ma allo stesso tempo prodotti concerti, pubblicazioni, installazioni, progetti speciali. Un nome è un luogo dello spirito e talvolta fisico. Nel corso del tempo si incontrano persone con cui vengono instaurati rapporti di amicizia e collaborazione. L’artista inglese Richard Long che realizza per lo spettacolo Temporale il lavoro audio Desert Circle basato su un suo testo.
Richard Long: dell’arte necessaria. Il desiderio di realizzare opere che si fanno di sè, attraverso il processo più semplice. Come camminare per giorni ed alla fine scoprire un risultato non previsto.

Roma è il punto di riferimento
a partire dal 1987. Senza abitarci ma con frequenti viaggi e potendo contare sull’amicizie e la stima di persone come Lorenzo Mango, Giuseppe Bartolucci, Filiberto Menna. Il nuovo teatro in un periodo così cupo come gli anni ottanta.

Rimini è un’astrazione.
Ci si abita – fuori dalla città, sulle colline – ma non si hanno rapporti con la città. Molto più intenso è il rapporto con lo spazio mentale e fisico dei luoghi attorno alla città. La Romagna, le Marche. Regioni strane.

A Firenze, 1986
Osservazioni Temporali. Progetto con la partecipazione di artisti di discipline diverse. Osservare il tempo (scolpire il tempo avrebbe detto Andrej Tarkowskij) in giornate di lavoro comune. Pochi giorni prima di andare in stampa la notizia della morte di Joseph Beuys. Una figura chiave nella nostra riflessione artistica. Inevitabilmente il progetto è dedicato ad un artista amato e tutto assume caratteristiche non previste inizialmente. Di quel periodo si ricordano gli interminabili viaggi in auto attraverso gli Appennini con le strade piene di neve.

A Santarcangelo si incontra durante l’estate
il sound artist Akio Suzuki È immediato il feeling e pochi mesi dopo si presenta Sound House in una piccola sala vicino alla statale. Due anni dopo si ritornerà insieme a Santarcangelo per una produzione più complessa Arcipelago che termina ancora alle prime luci dell’alba dopo l’ultima replica serale. Appuntamento per il pubblico all’alba del giorno dopo di fronte al teatro per un percorso nel paese ancora immerso nel buio. Si aspettano tre o quattro persone e la sorpresa di vederne un centinaio è grande. Molti hanno preferito dormire di fronte al teatro pur di esserci.
Il percorso si svolge tra i vicoli del paese per terminare in un punto più alto dove da una zona in costruzione tipicamente urbana, si vede tutto il paesaggio attorno. Ancora pochi suoni, movimenti lentissimi per scomparire dietro la casa.

Ritornano le parole:
leggerezza, velocità, precisione. Italo Calvino e le lezioni americane. Cy Twombly a quel tempo è un altro riferimento. Le calligrafie, i segni sulla carta. Saul Steinberg e le visioni americane.

Corrispondenze Naturali
è lo sviluppo del processo avviato con Sentieri Segreti. Una riflessione partecipe della natura e della tecnologia questa volta ampliata dall’eco della voce. Spettacolo quasi senza parole tranne nell’ultima parte dove la voce fuori campo commenta un piccolo fuoco al centro della scena. La fascinazione per i teatrini, per le scritture, per l’arte povera. Prove nell’inverno, nella neve vera di una sala non molto attrezzata. Ma Corrispondenze Naturali diviene un momento fondamentale. Si presenta ovunque. Dagli USA al Medio Oriente attraversando ripetutamente l’Europa. E ogni volta è uno stupore per lo smarrimento, la perdita delle dimensioni e del tempo che provoca nello spettatore. Filiberto Menna scrive in occasione di una presentazione vicino a Roma uno dei testi più belli sul lavoro di Giardini Pensili: “Cercando l’opera d’arte totale”.

Paesaggio con figure.
Un progetto di un anno durante il 1990 sulla visione del tempo e del paesaggio. Un’esplorazione leggera attraverso i riferimenti continui sempre presenti nel lavoro. La lettura del paesaggio, tempo e memoria, la fascinazione per una tecnologia povera o antiquata coniugata con la tecnologia digitale, le infinite relazioni tra scrittura – poetica, filosofica, visionaria in genere – e il suono. Il suono dei luoghi, le architetture acustiche degli spazî dati, il suono strumentale, il suono delle voci e delle sovrapposizioni di elementi autonomi.

Conversazioni interminabili
su come stare in scena. Sulla presenza dell’attore, sul rifiuto dell’attore. Fino ad arrivare alla constatazione di come la riduzione massima sia il corpo stesso dell’attore. La sua voce nuda nel vuoto del teatro senza scene. I muri riflettono il suono e le ombre. Ogni parola cade come un bicchiere.

Durante il 1990
si realizzano una serie di sezioni del progetto in teatri e in luoghi non deputati. A Verona arrampicandosi alle prime luci del giorno su una collina con un piccolo gruppo di partecipanti/spettatori. Reminiscenze delle esperienze parateatrali di Jerzy Grotowski. Al termine, in cima, si presenta un breve pezzo. La voce di Isabella accompagnata dal suo piccolo armonium indiano – un memoria dei readings di Allen Ginsberg – . Un lungo suono, una nota pedale che si fonde con le parole in una dimensione atemporale fatta di minime variazioni.

Poi Urbino,
Colonia, Modena – in compagnia di Giancarlo Cardini: finalmente si riesce a lavorare insieme -, Rotterdam – al lavoro con musicisti olandesi per un confronto reciproco sul suono del Teatro -, Washington D.C., New York.
A New York in uno dei templi della ricerca: Experimental Intermedia Foundation diretta da Phill Niblock. Lì si realizza, senza saperlo, uno dei primi lavori basati sui sistemi della telecomunicazione. La voce di Isabella giunge sulla scena via telefono dell’Italia. Sui manifesti è scritto “Very Far Voice” e il pubblico resta affascinato da uno strumento banale come il telefono. La voce che giunge d’oltre oceano in tempo reale in una sala a Manhattan. Nuovi incontri, nuovi mondi: John Cage al termine del pezzo ci esprime entusiasmo per il lavoro invitandoci a casa sua. Robert Ashley vede delle singolari relazioni tra il suo lavoro e il nostro, soprattutto nella relazione tra testo e suono.

Nel 1989 Linz.
Ad “Ars Electronica” il mattino dopo la presentazione di Terre separate terre unite si avvicina una persona che molto semplicemente si presenta come Heidi Grundmann della radio austriaca. Dice che ha molto apprezzato il lavoro e che a suo avviso contiene una forte presenza radiofonica – anche se alla radio non si era pensato proprio per questo progetto -. Heidi diventerà l’accesso ad un pensiero radiofonico ed a una cosciente presa di possesso della riflessione sulla elettronica e sulla tecnologia digitale in un contesto artistico. Un “allargamento della coscienza” che vede tra gli altri responsabili Robert Adrian X e Pinotto Fava.

Novafeltria un paese sulle colline della Valmarecchia
– il paesaggio di Piero della Francesca – ha un teatro d’opera in miniatura costruito nel secolo scorso. In questo luogo protetto vengono realizzate ulteriori fasi del lavoro. Le giornate si alternano tra le prove e le visite al fiume dove la raccolta di pietre costituisce parte integrante del lavoro. A Novafeltria si lavora con Marcello. Una delle più belle voci del teatro italiano. Novafeltria e il suo “Teatro Sociale” diventerà il luogo abituale di produzione in Italia. Un posto unico.

A dicembre, quasi alla fine dell’anno,
si conclude il progetto dov’era partito. A Rimini, nello Studio Giardini Pensili, dove il viaggio della voce iniziato nel 1985 approda all’uso del live electronics. La narrazione della singola voce diviene coro, leone, uomo e donna insieme, polifonia. Notte.

È la tecnologia digitale
che consente un’ulteriore economia dei materiali. Ancora un pensiero per Luigi Nono e i suoi infiniti possibili. La variazione continua e lo sviluppo di Carmelo Bene. Solo una voce di fronte alla vastità.

Temporale.
Dedicato alla città di Gerusalemme ed ai Rotoli del mar Morto. Ancora nel titolo un doppio significato contemporanemente meteorologico e legato al tempo. Ancora voci, molte voci in russo, ebraico, olandese. La voce russa di Lora Jablockina, nella casa in Valmarecchia che divide con Tonino Guerra, pietra miliera del cinema amato degli ultimi trentanni. A lui chiediamo di Tarkowski, Antonioni, Paradjanov. Volentieri ce ne parla mostrandoci le fotografie della sua casa di Tbilisi in Georgia.

Tonino ci invita
a visitare una chiesa abbandonata per vedere se può essere un luogo per delle riprese video. Ci arrampichiamo per un sentiero quasi cancellato e arriviamo nel vuoto dell’abbandono. Tra scritte sui muri e tetto semicrollato. Camminando tra le macerie della Madonna di Saiano che sembra un’immagine di Tarkowski.

Roma,
durante l’allestimento italiano di Cave di pietra – dopo la prima in California qualche mese prima -. Un pomeriggio decidiamo di andare al Labirinto, un cineclub, a vedere un film di un regista mai sentito prima. Paradjanov. Lì, nella piccola sala nel cuore di Roma un colpo al cuore vedendo quasi tutto lo spettacolo in prova trasferito sullo schermo. Scena dopo scena, sempre più simile. Gioia.

Sempre più spesso
è ad Est che si guarda. Senza andare troppo lontano.

Temporale è anche dedicato
a tre artisti: Feldman, Tarkowski, Scelsi. La spiritualità nell’arte e la vita quotidiana come la donna che scrive a Tarkowski dicendo – non sia come sia possibile ma nel tuo film ho visto. Ho visto con stupore la mia infanzia, la mia casa e tutto era esattamente così come tu lo racconti. Ogni colore, ogni odore. Ti ringrazio per questo. –

Terrae Motvs è uno sviluppo ulteriore.
Problemi, un incidente a Marcello durante le prove e la necessità di presentare un Preludio a Salerno e Parma. Poi finalmente il lavoro completo a Roma. La voce acquista caratteristiche diverse, ancora in mutazione. Non c’è omogeneità tra gli attori e volutamente non si cerca un timbro comune. La voce “oracolare” di Isabella che si muta con l’elettronica. Le parole cantate per la definizione di un contesto che trascende il moderno per collegarsi a qualcosa di più antico, precedente. Zeami: il segreto del teatro No. È Sandro Lombardi de i Magazzini che spinge alla lettura di un testo basilare per il lavoro teatrale.

Come nell’opera
di Bill Viola tecnologia e natura si sporcano reciprocamente ampliando i segni dell’una e dell’altra. Il battito del cuore amplificato da il ritmo generale dello spettacolo come nel tactus medievale. Il tempo delle parole è basato sul ritmo cardiaco.
Il corpo è libro aperto e l’attore è trasceso.

L’ultima parte del 1992
porta a viaggiare lungo l’Europa e gli Stati Uniti. Prima ad Alicante su invito dell’amico Llorenç Barber dove si presenta la prima sezione de La Natura Ama Nascondersi. Un divertissement mozartiano. Un’operazione di musicologia che vede al centro la fuga di Mozart da Vienna nel 1792 in compagnia dell’amico e collaboratore Anton Stadler alla volta di Budapest. Nel lavoro viene documentato questo straordinario periodo attraverso lettere, documenti, visite ai luoghi dove i due profughi vivono per quasi quarant’anni. Le presentazioni assumono forme diverse: ad Alicante e Barcellona sono più concerti scenici mentre a Vienna ed Innsbruck viene realizzato un progetto molto più particolare con attori, musicisti, cantanti al Museum Moderner Kunst di Vienna e presso il Tiroler Landesmuseum di Innsbruck. Collegati non solo con un ponte radio ma anche con il videotelefono. Il pubblico segue contemporaneamente lo svolgimento dell’opera nei due luoghi in tempo reale.

James Rosen e la presenza del tempo nella pittura.
I quadri sono scuri e senza elementi riconoscibili se non si dedica il tempo ad essi. Di fronte al quadro gradualmente emergono colori, forme, segni riconoscibili in un crescendo percettivo dove il silenzio è scandito dal riconoscimento delle proprie immagini. Il lavoro di Rosen ha qualità temporali, perciò musicali, che riempiono di suono l’osservazione.

Come le fotografie di Guido Guidi
nelle quali il paesaggio quotidiano è trasfigurato per iperrealismo. I segni, la luce, tutto così silenziosamente italiano e emozionante nel sottotono. Elogio dell’ombra. Le infinite gradazioni del grigio. Come si può fare un teatro così?

La tecnologia è usata qui
come struttura anche teorica del progetto ma lo scarto è dato dalla relazione tra materiali live (tra gli altri un ensemble di musica tradizionale ungherese, un coro di voci bianche, attori) immagini “antiche” quindi, viste attraverso un collegamento impensabile pochi anni prima.

Ancora la relazione
tra macchine, corpo dell’attore, materiali tradizionali, voce, movimento del suono nello spazio.
Modificazione della percezione di elementi quotidiani.
Straniamento, spaesamento.

1992. Napoli: un’innamoramento.
Finalmente si arriva in una città a lungo sognata. E la risposta è immediata. Alla prima replica di Terrae Motvs al termine dello spettacolo ci viene presentato Patrizio Esposito con il quale immediatamente si troverano forti punti d’intesa che scaturiranno presto in progetti comuni.

Terra di nessuno vede solo
un’attrice in scena. Ma non si tratta di un monologo. – Non sono mai monologhi – Allestimento a Roma al Teatro Furio Camillo. Roma, una città talvolta impossibile. Durante la presentazione delle repliche si organizza del Disorientamento – attraverso le terre di nessuno del corpo e della voce Due giornate di conversazione con ospiti di aree diverse. Filosofi, storici, artisti, musicisti. È un po’ fare il punto della situazione prima della partenza per Berlino.

Garofani, Vienna, Volksbuhne, Pina Bausch,
Nelken, primavera 1993. Finalmente Pina dal vivo. Al termine non c’è spazio per la lode. È tutto perfetto nell’aderenza ai microeventi quotidiani. La vita è trascesa sulla scena. Solo una composta silenziosa commozione può commentare quello che è successo.

È preferibile parlare del Teatro
[T maiuscola] per distinguerlo dal teatro [t minuscola]. Il Teatro è una visione del mondo. Filosofia del silenzio e dell’attesa. Luogo sovrano della riflessione. Casa della filosofia.
Che filosofia è se non è inscritta nel corpo? La filosofia senza corpo, la parola senza corpo, è incompleta. Parziale. Nessuna esperienza si compie veramente al di fuori del corpo. L’attore compie la filosofia che altrimenti rimane sterile esercizio, sillabazione inutile legata alla pagina ma che da essa non è libera.

Una visione durante
la preparazione di Terrae Motvs. I territori ricoperti da cavi elettrici. Ovunque passa energia. Il paesaggio vibra su un bordone di energia, inscindibile.

Inverno 1986. Treno per Firenze.
Un locale da Bologna, l’unico treno che c’è. In uno scompartimento un bambino coi capelli rossi dalla faccia simpatica motiva la scelta del posto. Di fronte a lui due occhi curiosi domandano qualcosa su di te. L’incontro con James Rosen avviene sull’esempio della casualità provocata.
Pochi giorni dopo Jim viene a vedere Sentieri Segreti ad Argenta, un piccolo paese vino a Ferrara. Segue una lettera su carta velina che ci porterà direttamente a San Francisco.
Agosto 1993.
A Rimini si presenta La lunga notte . Dice il manifesto: concerto in simultanea interattiva con la partecipazione di poeti e musicisti a Rimini, Innsbruck, Gerusalemme, Colonia. Un lavoro di mesi per realizzare ponti radio tra paesi diversi. Alla sera le voci dei poeti in ebraico e arabo rieccheggiano contemporaneamente in più città europee. Le parole si mescolano ai suoni strumentali nell’emozione generale. Proprio quel giorno è annunciata la pace in Israele e Palestina e il poeta Yehuda Amichai è commosso nella notte dello studio di Gerusalemme di Kol Israel mentre dice questo è il primo bambino che nasce nella nuova era.
Il miracolo della radio, il miracolo della scrittura e della distanza. La magia – ancora – delle voci lontane.

Teatro e Midrach – una riscrittura di Marc-Alain Ouaknin

Un teatro dell’ascolto (pensando alla”tragedia dell’ascolto” di Nono e Cacciari) che mira a restituire fisicità alla parola poetica per affrancarla dalla pagina scritta. Il corpo dell’attore, la sua voce, diviene libro aperto a infiniti significati.
E’ così che comprendere il Teatro diviene la proiezione dei possibili più intimi nel cuore stesso delle situazioni in cui ci troviamo. Guardare al Teatro è legarsi allo sconosciuto.
E’ affermare la differenza, mantenere la contraddizione, lasciare accadere lo sconosciuto e l’inatteso, lasciare libera la dimensione dell’estraneità e dell’altrove. Fin dall’inizio si mette fine all’idea che esista una verità che si nasconde dietro il Teatro e che si tratta di scoprire. Mette fine a un’epoca teologica del teatro. Uno spettacolo è un evento relazionale e non una sostanza da analizzare. Non è una ricerca di unità nè di unificazione. Al contrario è ricerca di separazione, fessura, intervallo. La frase: “Tutta la vita sono cresciuto tra i Maestri” è interpretata da Rabbi Nahman di Braslav in questo modo: sono cresciuto tra, e cioé nello spazio del niente, nel vuoto che separa e unisce i Maestri. Designa lo scarto e la separazione come origine di tutto il valore positivo. Questo spazio tra due posizioni è in un qualche modo politico poiché è la manifestazione più eclatante del rifiuto della chiusura: è il luogo dell’anti-ideologia per eccellenza. Le prospettive contrastanti e conflittuali del senso formano un tessuto serrato in cui ciascun punto di vista giunge a se stesso attraverso il suo rapporto con altri punti di vista.
Il Teatro scopre un’intenzione, una modalità d’essere che non si pensa nel suo rapporto con il mondo come sapere, possedere o conoscere.
Il Teatro non è un sapere ma un’esperienza, un incontro.
Il Teatro non è conoscenza dell’essere ma il suo rispetto.
Il Teatro non è nè potere, nè violenza, ma tenerezza. Non è fusione ma relazione.
Enigma di una relazione senza relazione.
Il Teatro è di volta in volta un altro teatro, un’altra via, un’altra esperienza.
Il Teatro non è, ma diviene; questo significa che deve esistere come emergenza di nuove figure, altre, del pensabile e dell’agire; esso esiste nella sua alterazione incessante.
Per la filosofia del Teatro, tutto è interpretazione. In tutti i casi si tratta di interpretazioni, vale a dire di proiezioni di schemi esplicativi astratti sulle percezioni dei nostri sensi, in vista di donarci una rappresentazione unificata dove le relazioni unificatrici sono prodotte dalla ragione.
Il Teatro mette in gioco tutta una metodologia di aperture, di rotture che rifiutano alle parole e alle idee la chiusura nell’idolatria della loro verità.
Il Teatro come scuola di apprendimento ad aver torto.

Giardini Pensili
è sempre più un viaggio nella voce. Nell’attraversamento dei territori della perdita. Ad ogni spettacolo la compagnia si ri-conosce in un’idea di comunità di singoli dove non è necessario mostrare una verità – inesistente -.

I treni di Ozu, il cielo di Wenders. Per anni a ripensarci.

Vedo come una storia
non può prescindere dalle persone. I nomi si rincorrono e i campi dell’amore costituiscono il tessuto di un lavoro basato su un’idea di riconoscimento continuo. Mentre si pongono le stesse e le stesse domande evitando di dare risposte.

Windscheidstr. 21,
Berlin-Charlottenburg, 25 novembre 1993

Scritto per una conferenza presentata nel 1993 presso la Freie Universität di Berlino su invito di Franco Sepe. Nel 1993 vivo a Berlino ospite del Berliner Künstlerporgramm des DAAD.