Shul שול

Shul è una mostra di Roberto Paci Dalò a cura di Davide Quadrio. Il progetto vede la creazione di un’installazione architetturale site-specific all’interno del Palazzo del Merenda a Forlì. I tappeti ricamati, gli oggetti rituali, l’installazione sonora, gli stendardi e i sentieri di luce – dei quali si compone sulfurea l’installazione – rendono l’ambiente immersivo e sensoriale. Il grande spazio, il Salone centrale della Pinacoteca civica, ospita ampie e prestigiose tele del Seicento. Shul entra così in relazione con le opere di Guido Cagnacci e del Guercino collegandole alla nuova opera attraverso l’uso particolare della luce. Shul (שול) significa Sinagoga in yiddish e corrisponde all’usanza ebraico-italiana di riferirsi alla sinagoga come “scola”.

Press kit

Shul è uno spazio ibrido – sacro e laico insieme – che riunisce elementi della sinagoga evocando anche altri culti e visioni del mondo. Un luogo nel quale gli oggetti si relazionano a un’installazione sonora multicanale che circonda e coinvolge i visitatori. Shul – commenta il curatore Davide Quadrio – continua la ricerca di Paci Dalò nel mondo rituale e in quello religioso. Non necessariamente sinonimi, ma nemmeno antitetici, il rito religioso  e il gesto artistico, concorrono alla materializzazione di uno spazio intimamente complesso. Tra cosmologia e ontologia, Shul muove lo sguardo alla ricerca del divino e costruisce universi introspettivi. Con luce e suono conduce lo spettatore in un luogo ibrido dell’anima, del raccolto e del racconto. Uno spazio sacralizzato, protetto e fragile, del quale l’esperienza mostra le complessità, contraddizioni, e aporie conoscitive, qui risolte in una voce sonora e in disegni cabbalistici. Callido accostamento che fa della tradizione ebraica un punto di raccordo spiritualmente universale.

Qabbalah visiva

Il progetto si basa sulle immagini raccolte e pubblicate per la prima volta in volume da Giulio Busi nel suo volume Qabbalah visiva (Einaudi 2005). “Questo libro tenta per la prima volta una storia del disegno mistico nella tradizione ebraica. È un atlante sorprendente dell’immaginario giudaico, un’esplorazione in un territorio ancora poco o nulla toccato dagli studi filologici, eppure fondamentale per il confluire creativo di religione, filosofia, mistica e estetica […] Con i loro diagrammi, i cabbalisti fissarono sulla carta le proporzioni dell’architettura divina dei cieli. L’armonia delle forme cerca di catturare il mistero della creazione: il gioco delle sefirot, la guerra cosmica tra bene e male, il prorompere del peccato e l’enigma della clemenza divina vengono tradotti in rapporti spaziali, e spesso si coagulano in luoghi-parola, in cui la scrittura ebraica si combina con acute invenzioni formali”. (Giulio Busi)

Il tappeto, uno ma molteplice

Come sostiene il curatore Davide Quadrio, l’armonia delle forme cerca di catturare il mistero della creazione: il gioco delle sefirot, la guerra cosmica tra bene e male, il prorompere del peccato e l’enigma della clemenza divina vengono tradotti in rapporti spaziali, e spesso si coagulano in luoghi-parola, in cui la scrittura ebraica si combina con acute invenzioni formali.
L’installazione si compone di un tappeto, uno ma molteplice, che racchiude in sé dieci disegni della cabala ebraica, neri in ciniglia su uno sfondo bianco in cotone. Al centro, l’artista ha posizionato una sorta di Sukkah, capanna, una costruzione in metallo dal cui “tetto” scende un telo bianco e a cui è sospesa una yad, una scultura/mano che serve per seguire le scritture ebraiche sui libri in pelle di animale, che non possono essere toccati direttamente dalla mano dell’uomo. Paci Dalò ci invita ad andare “oltre”: così come i soggetti religiosi dei dipinti vogliono essere guardati in maniera ascensionale, dal basso verso l’alto, così l’installazione a terra accompagna il visitatore per un percorso che si estende orizzontalmente per vari metri.

Sfiorare l'ineffabile

Come nel naos del tempio greco – la cella sacra a esclusiva pertinenza del sacerdote, nella quale veniva serbata l’immagine iconica del dio – anche in Shul, lungo il tragitto psichico, disseminato di tappeti, si incontra un’alcova misteriosa. Si tratta di un’eterea e leggera costruzione, sagacemente velata a celare e proteggere il segreto, tutto astratto dell’oro iconico bizantino. La tavoletta dorata si offre in tutta la sua pura semplicità di assenza formale. Si manifesta negandosi, come è proprio del divino. A sfiorare l’ineffabile, nel percorso dall’umano al divino, vi è un incorporeo yad, sospeso a indicare la via. Lo yad, letteralmente “mano”, il puntatore usato per guidare le letture pubbliche del testo del Sefer Torah, conduce l’inchiesta del transumanare, direbbe Dante.
Come recita l’articolo di Elena Dolcini: “Questa scultura in argento, così come la mostra, è semplice e complessa allo stesso tempo: agli estremi della yad, da un lato, si vede un musicista in miniatura e dall’altro il dito con cui si può sfiorare il libro. Lo stesso atto di “sfiorare” è riproposto nell’aver lasciato sospesa la yad a un millimetro dalla tavola dorata sottostante, che metonimicamente, attraverso il suo colore, simboleggia un’icona bizantina. Le religioni e la loro armonica convivenza sono, senza retorica, al centro di Shul, una descrizione visiva di elementi rituali ebraici, che si compone anche di riferimenti al mondo islamico (il tappeto) e a quello cristiano ortodosso (l’icona dorata).”

Genesi dell'opera

Shul nasce attorno a un evento particolare per la città: il Congresso ebraico di Forlì, importante raduno di delegati di comunità ebraiche di varie città dell’Italia settentrionale e centrale che si tenne dal 16 al 18 maggio 1418. L’importante congresso, che vide la presenza dei delegati delle comunità ebraiche di Padova, di Ferrara, di Bologna, delle città della Romagna e della Toscana, nonché di Roma, fu convocato a Forlì, sede di un’antica e fiorente comunità di ebrei: vi si presero decisioni sul comportamento (etico esociale) che gli ebrei avrebbero dovuto tenere e si inviò una delegazione al papa Martino V per la conferma degli antichi privilegi e la concessione di nuovi. In particolare,si chiedeva di abolire la legislazione antigiudaica voluta dall’antipapa Benedetto XIII (Etsi doctoribus gentium). Martino accolse le richieste del congresso.

Antefatto

Il 18 maggio 2018 – a 600 anni esatti – Roberto Paci Dalò ha presentato nella Chiesa di San Giacomo ai Musei San Domenico la performance Niggunim costruita attorno a un concerto e allestimento scenico. Niggun (niggunim al plurale) significa in ebraico: “aria” o “melodia” e si tratta di una forma di canzone o melodia religiosa ebraica cantata da gruppi. È una tecnica del canto, spesso con suoni ripetitivi astratti al posto di una lirica formale. A volte i versetti della Torah, o citazioni da altri testi ebraici classici, sono cantati ripetitivamente così da creare un niggun. Alcuni niggunim vengono intonati comepreghiere di lamentazione, mentre altri possono essere gioiosi o vittoriosi. I niggunim sono specialmente importanti nella liturgia dell’ebraismo chassidico, che ha sviluppato le sue proprie forme spirituali strutturate a riflettere la gioia mistica della preghiera profonda, espressa nel devekut (la gioia mistica della preghiera intensa).

Shul di Roberto Paci Dalò. Palazzo del Merenda – Pinacoteca civica, Forlì

Shul di Roberto Paci Dalò. Palazzo del Merenda – Pinacoteca civica, Forlì

Shul di Roberto Paci Dalò. Palazzo del Merenda – Pinacoteca civica, Forlì

Shul di Roberto Paci Dalò. Palazzo del Merenda – Pinacoteca civica, Forlì

Shul di Roberto Paci Dalò. Palazzo del Merenda – Pinacoteca civica, Forlì

Roberto Paci Dalò – Shul שול (teaser) 2018

Credits

un progetto di
Roberto Paci Dalò
a cura di
Davide Quadrio
produzione
Comune di Forlì – Servizio Cultura e Turismo, Arthub, Giardini Pensili

in collaborazione con
EDA Milano, Galleria Marcolini
Sukkah realizzata con la collaborazione di
Claudio Ballestracci
post-produzione audio 5.1
Simone Felici